venerdì 11 dicembre 2015

Storia di antiche varietà fruttifere: Il naturalismo nella pittura dei Carracci




domenica 20 dicembre 
ore 11.00 - Storia di antiche varietà fruttifere:


 Il naturalismo nella pittura dei Carracci 



  Claudio Buscaroli. del CRPV



( centro ricerca produzioni vegetali )



CRPV è una società cooperativa che promuove ricerca, sperimentazione e divulgazione nel comparto delle produzioni vegetali. Operando a diretto contatto con le maggiori realtà del settore agro-alimentare, riesce a calibrare i progetti, mettere a punto le innovazioni e sviluppare gli studi su misura delle esigenze degli operatori, in un’ottica di sicurezza alimentare e valorizzazione delle produzioni.


Esposizione pomologica 

Degustazione di frutti antichi



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Negli ultimi tempi è andata maturando, nel Paese, la coscienza del valore della biodiversità, sia per arrestare, nei limiti del possibile, l’erosione genetica di molte specie vegetali e animali (con pregiudizio degli equilibri biologici dell’agroecosistema, già messo a dura prova dalle monocolture agricole e dalla stessa frutticoltura intensiva), sia per cercare di recuperare il lavoro identitario, territoriale, dato dalle antiche produzioni, specialmente frutti-viticole. 
Questo fronte viene pubblicamente supportato già da un decennio dalle direttive europee, tradotte poi in normative nazionali, da cui sono derivati, fra l’altro, gli interventi legislativi regionali che hanno messo a disposizione fondi per gli stessi imprenditori agricoli che hanno mantenuto in essere in azienda o rimesso in coltura vecchie varietà, purché corrispondenti a taluni requisiti (per es. l’accertamento dello stato sanitario).

 È richiesta l’esenzione da tre particolari virosi: PPV, PDV e PNRV, ma una recente normativa dell’EmiliaRomagna consente una deroga per le varietà di gemoplasma a rischio di estinzione.

 L’istituzione poi dei mercati contadini, i cosiddetti “farmer market”, e conseguente incentivazione del consumo di prodotti agricoli locali, di antica tradizione, ha accentuato anche nei consumatori il desiderio di conoscere i sapori e i gusti del passato, a cominciare dalla frutta.

 Recupero di vecchie varietà in Emilia-Romagna 

L’Emilia-Romagna è una delle Regioni che più ha cercato di muoversi in questa direzione, con alcuni interventi ed anche nel nuovo Piano di Sviluppo Rurale non mancano indicazioni a favore della tutele della “biodiversità”, intesa anche nel senso di ripristino di antiche colture, i cui prodotti si possano discostare, anche molto, dagli standard qualitativi imposti dalle odierne tendenze del mercato. 

La Regione Emilia-Romagna
 iniziò qualche anno fa la costituzione exnovo di un “repertorio” delle vecchie varietà autoctone più significative, appartenenti alla tradizione colturale di un passato abbastanza recente. Poi ha riconosciuto una serie di strutture di conservazione, pubbliche e private, che detengono collezioni varietali exsitu delle varie specie (rari i casi della protezione di varietà in situ, ormai tutte scomparse): solo gli “amatori” hanno tentato di far sopravvivere alberi, qua e là, quale testimonianza del passato o per conservare, in famiglia, la memoria di un sapere storico.


Riscoperta di antiche pesche bianche della tradizione romagnola

Sapori e aromi dimenticati, tradizioni colturali e anche un po’ di nostalgia nei progetti di reintroduzione delle migliori varietà del germoplasma autoctono della peschicoltura romagnola. Tentativi lodevoli, spesso riusciti, per non disperdere valori culturali e alimentari e dare ai consumatori più attenti gusti indimenticabili.




BELLA DI CESENA


Da un esame dettagliato delle varietà reperibili nelle principali collezioni, risulta evidente un ventaglio di una cinquantina di varietà di pesche, tutte peraltro già descritte o illustrate in monografie o pubblicazioni (es. Branzanti e Sansavini, 1965; Bassi, Sansavini et al. 1980, Buscaroli et al. 2014) fra cui, basilari, appaiono anche gli Atti dei ventisette convegni peschicoli che si sono svolti in Romagna tra il 1955 e il 2014; questi volumi raccontano efficacemente l’evoluzione della produzione peschicola, regionale e nazionale, anche sul piano del rinnovo varietale (cfr. Atti XXV Convegno Peschicolo, Faenza, 2004). Rinnovo che, a partire dagli anni ’60, è stato sempre molto rapido e che ha visto soccombere totalmente tante varietà, per lo più locali, selezionate casualmente dai coltivatori e comunque non derivate da programmi di “breeding” condotti ufficialmente da istituzioni pubbliche a ciò preposte. Erano varietà un tempo imperanti nei mercati cittadini, che partivano in ferrovia da Ravenna o da Imola per altri mercati italiani e talvolta alimentavano anche canali di esportazione verso Germania e Austria (es. Bella di Cesena e Sant’Anna Balducci). Crediamo pertanto utile per i lettori sottoporre loro la riproposizione di alcune di queste varietà, a polpa bianca, oggi tutte al di fuori degli elenchi ufficiali consigliati ai produttori, per far conoscere anzitutto alcune loro caratteristiche che si sono perse, molto distintive rispetto alle pesche e nettarine di oggi, soprattutto di quelle a pasta bianca, ma poi per stimolare la riproposizione anche soltanto simbolica. Sono pesche facilmente riconoscibili per l’aspetto poco attraente, a cominciare dalla scarsa colorazione della buccia (piuttosto verdastra, anche a maturazione), di forme a simmetria talvolta irregolare, ma relativamente grosse e sensualmente armoniche, piuttosto tomentose (le linee di lavorazione dovevano essere provviste di spazzolatrici), con polpa poco soda, spesso deliquescente a piena maturazione, ma provviste di requisiti organolettici difficilmente ritrovabili nelle pesche attuali: profumo, aroma, sapore, retrogusto forte, talvolta asprigno, anche un po’ tannico e non soltanto dolce-acidulo); molte erano le sostanze volatili, proprie delle pesche raccolte quasi sempre mature e non in anticipo come si fa oggi. Alcune erano anche dotate di resistenza a patogeni (es. agente della bolla e del cancro rameale. Pensiamo dunque che la riscoperta di queste antiche varietà abbia una sua prima giustificazione nella necessità di conoscerle e confrontarle con le pesche attuali. Questa esperienza, in secondo luogo, potrebbe aprire qualche spiraglio ad un timido e prudente tentativo di coltivazione per una nicchia di mercati locali; mercati, peraltro, già alimentati in qualche raro caso da piccoli quantitativi di vecchie varietà prodotte da amatori tradizionali e non dalle OP che inseguono i mercati; una loro mini-diffusione controllata su limitata scala territoriale, da parte di qualche gruppo consortile che avesse la possibilità di collocarle anche su qualche piazza nazionale, non sarebbe male. In ogni caso si tratterebbe di un piccolo contributo alla difesa della biodiversità che contrasterebbe la crescente erosione genetica dell’antico patrimonio arboree di specie da frutto.

( da Frutticultura n.7/8 - 2015)

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Il recupero e caratterizzazione di antiche varietà di pero

nell'ambito di un progetto finanziato dal Psr 2007 - 2014 sono stati censiti numerosi genotipi autoctoni in vista di un rilancio produttivo e commerciale.

file:///C:/Users/daniela/Downloads/Recupero%20vecchie%20cv%20pero.1.pdf

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Alla riscoperta dei valori dei frutti dimenticati 

La maggio parte dei frutti presenti in Emilia Romagna non sono autoctone ma coltivate da diversi millenni.

file:///C:/Users/daniela/Downloads/riscoperta%20frutti%20antichi.pdf




20 dicembre ore 11

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